Politica d’integrazione EU: cause e conseguenze fino al 2015
Intro: Negli ultimi decenni, le decisioni politiche ed economiche intraprese in Europa hanno generato un incremento dei flussi migratori, anche da parte di cittadini extraeuropei. Questo cambiamento sociale ha richiesto la necessità di sviluppare una politica migratoria coordinata. Considerati i numerosi fallimenti nella progettazione di una politica di migrazione comune, il fenomeno migratorio rappresenta, ancora oggi, un dibattito aperto nelle agende politiche europee. Questo disagio, tuttavia, non è riconducibile esclusivamente alla passività degli organi politici, poiché sono state presentate numerose proposte di direttiva, ai fini di abbracciare i diversi aspetti del fenomeno migratorio, ma le tragedie nel Mediterraneo evidenziano la difficoltà in cui si trova l’Unione Europea. Lo stesso Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz ha dichiarato che “Sono molti a incolpare l’Unione per la morte dei profughi, ma non esiste la politica migratoria dell’Unione europea, bensì un mosaico di ventotto (ora 27 con la Brexit) sistemi nazionali diversi, ognuno dei quali decide se accogliere i profughi”[1]. I limiti dell’Unione europea, di fatto, trovano la loro massima espressione nella mancanza di equilibrio tra i principi solidali, sui quali la stessa Unione si fonda, e le necessità politiche nazionali, che spesso ostacolano una cooperazione adeguata. L’innegabile crisi umanitaria, tuttavia, ha contribuito all’inaccettabile confusione politica europea, che permane tra la politica dedicata all’immigrazione pura e semplice e quella destinata ai rifugiati. Non bisogna confondere, infatti, la politica d’immigrazione a scopi economici, con la protezione che l’Unione Europea deve garantire ai rifugiati.
Il fenomeno migratorio, infatti, è costituito da numerosi aspetti che spesso riflettono propositi politici differenti. È per tale ragione che l’integrazione dei migranti e dei rifugiati è considerata la chiave del successo della politica migratoria europea[2], malgrado sia menzionata solo da alcuni anni, negli obiettivi strategici, come risposta al principio di solidarietà e delle trasformazioni sociali.
Resta il fatto che l’estrema confusione del fenomeno e la conseguente percezione negativa della migrazione hanno sollecitato una maggiore attenzione verso gli aspetti sociali, rispetto a quelli economici, che avrebbero evidenziato i risvolti positivi, in termini di PIL[3].
Pertanto, le tappe delle politiche migratorie avrebbero semplicemente risposto alle conseguenze che apparivano in Europa.
Per comprendere quali sono i meccanismi che hanno regolato i flussi migratori nel corso del tempo, ho tentato di ricostruire le varie fasi della politica migratoria, spiegando le cause, le conseguenze della mobilità internazionale e l’impatto di questo fenomeno in Europa valutando, inoltre, le diverse tipologie politiche d’integrazione di alcuni Paesi europei, al fine di individuare quelli che, fino al 2015, sono risultati i reali diritti degli immigrati.
Tappe della politica migratoria europea per l’integrazione
Verso un’integrazione economica
Nel primo periodo della nascita della Comunità economica europea con il Trattato CEE, firmato a Roma nel 1957, “la migrazione era considerata un aspetto minore, rispetto ai temi principali affrontati durante la negoziazione del Trattato stesso tra Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, i quali si accordarono, al fine di riunirsi “in una Comunità avente per scopo l’integrazione tramite gli scambi in vista dell’espansione economica”[4].
Nel 1968 solo i cittadini lavoratori di Francia, Germania, Italia e i Paesi del Benelux beneficiarono del diritto di libera circolazione sul territorio della Comunità europea, fino a quando, con gli Accordi di Schengen nel 1985, adottati inizialmente da nove stati e concepiti come un laboratorio per la futura libera circolazione di persone, si giunse ad abolire le frontiere interne all’Europa e a rafforzare quelle esterne. La libera circolazione era prevista, sia per i cittadini europei, sia per le persone extra europee, che avevano ottenuto la cittadinanza, in uno di questi Paesi membri.
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